Elezioni europee, chi perde se ne farà una ragione?

In una società politica come quella italiana dove non c’è mai stata vera alternanza fra schieramenti contrapposti, le elezioni del 25 maggio rappresentano un evento di portata storica perché aprono la via all’affermarsi anche da noi di un’autentica democrazia di tipo occidentale. Finora in Italia si sono viste e sentite tante cose, come “larghe intese”, “solidarietà nazionale”, “convergenze parallele”, “opposizione costruttiva” e così via, ma erano tutte formule che camuffavano uno “status quo” rispecchiante aree e riserve di caccia a disposizione esclusiva di partiti, movimenti, corporazioni e potentati economici e sindacali di diversa natura ed estrazione.

E’ stato così dal dopoguerra ad oggi, durante il quale tutti i protagonisti della vita politica e sociale italiana si sono assicurati spazi da sfruttare a proprio vantaggio, nonostante lo sbandieramento degli eterni ideali del progresso e della giustizia sociale uniti alla promessa d’un avvenire migliore. Un elevato e colpevole contributo a questo profittantismo di marca italica è stato dato dalle varie conventicole culturali – annidatesi nelle case editrici, nei giornali, in Tv, nelle Università, ecc. – le quali con le loro predicazioni ingannevoli, via via propagate dal centro alla periferia, hanno addormentato le coscienze e incoraggiato i cittadini alla rassegnazione.

Le elezioni politiche del 25 maggio ci diranno, purtroppo, che il paese non è ancora completamente guarito da questi mali e che costerà molta fatica riportarlo in modo definitivo sulla strada della democrazia. Anzitutto c’è la cultura delle forze politiche sconfitte, per le quali il concetto di “opposizione” non si identifica con la pratica parlamentare conosciuta nei paesi di più antica democrazia, ma con il ricorso a forme anomale, quali i disordini di piazza, gli scioperi politici organizzati con la connivenza dei sindacati, le cospirazioni, le manovre di palazzo, ecc… Non si tratta di allarmismo esagerato. L’Italia ne ha già fatto esperienza nel ‘94, quando il primo governo di centrodestra è stato abbattuto non già a seguito di libere elezioni politiche, ma a mezzo di oscure manovre sotterranee patrocinate ai massimi livelli istituzionali! Queste vicende si sono rinnovate nel tempo fino all’ultimo colpo di stato del 2011 contro il presidente Silvio Berlusconi e non vanno dimenticate, sia perché fanno parte della nostra storia recente e devono servire d’insegnamento, sia perché si è in presenza di pericoli che ancora incombono sulla vita del paese e ne minacciano l’assetto democratico.

Mi auguro di sbagliarmi, ma nulla di buono v’è da attendersi da una maggioranza (chiamiamola pure così) il cui leader non solo si rifiuta di ammettere onestamente la propria sconfitta, in caso il M5S prende più voti del PD, ma contesta la legittimità della vittoria degli avversari sulla base di cervellotiche considerazioni, che, in un paese “normale” e non inquinato da residui medievali, farebbero solo ridere.

Questo clima d’irragionevolezza non deve però intimidire le forze vincitrici, le quali avranno il dovere di porre mano al programma annunciato, da cui il paese si attende innovazione, efficienza, migliore funzionamento della macchina statale nel senso più ampio del termine (cioè amministrazione, giustizia, scuola, sanità, ordine pubblico, tassazione, soprattutto detassazione, ecc.), si deve segnare un taglio netto col passato recente e meno recente.

Le resistenze dei ceti colpiti saranno certamente feroci, ma queste non devono distrarre il vincitore che potrà contare sul sostegno popolare. Le forze politiche sconfitte devono rassegnarsi all’opposizione, nel rispetto del giuoco democratico da loro stesse sbandierato su tutte le piazze d’Italia.

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